Lunedì 29 Ottobre 2001
Studio di caso: mortalità di massa nelle ostriche perlifere
Introduzione
La perlicoltura è una forma di acquacoltura: dalla cooperazione tra esseri umani e molluschi bivalvi nascono le perle. Tuttavia, può accadere che le ostriche perlifere muoiano in massa, una piaga in grado di mettere in ginocchio l’intera industria.
In Myanmar, tassi di mortalità anormalmente elevati sono stati osservati dal 1983. Uno studio ha permesso di identificare il batterio Vibrio come responsabile.
L’obiettivo di questa comunicazione è presentare informazioni su questi fenomeni di mortalità massiva, repertoriarne e descriverne cause e sintomi, e proporre suggerimenti basati sulla letteratura e sull’esperienza di campo.
Il fenomeno della mortalità massiva
Nel 1969–1970, mortalità di massa hanno colpito le aziende di Port Moresby (Papua Nuova Guinea) e di Kuri Bay e Smith’s Harbour (Australia). In molti casi, quasi tutti gli individui morivano; in gabbie da dieci ostriche, ne sopravviveva una sola (George, 1992).
All’epoca, il tasso medio di mortalità di Pinctada maxima si aggirava intorno all’80 %, mentre in Australia, dal 1974, oscillava piuttosto tra il 30 e il 60 %. Uno studio triennale (1980–1983) concluse che le condizioni di trasporto (37 h di nave, o addirittura 4–5 giorni durante i periodi di raccolta) e l’alta densità nei contenitori, che riduceva la circolazione d’acqua e favoriva la proliferazione batterica, erano le cause principali. Vibrio harveyi fu identificato come agente patogeno principale (Dybdahl & Pass, 1985).
Mortalità elevate (30–85 %) furono segnalate anche nella maggior parte delle regioni dell’Indonesia nel 1992–1994, probabilmente legate ad anomalie climatiche che modificavano correnti, temperature e disponibilità di plancton (Anonimo I, 1994).
Nel 1985–1986, a Takapoto (Polinesia Francese), le aziende di schiuditoio e di ostriche innestate subirono perdite dal 50 all’80 % (Intes, 1995b).
Il settore Akoya in Cina ha anch’esso registrato mortalità aumentate: dopo 4–5 mesi, nessun strato di madreperla ricopriva il nucleo; i nuclei sbiancati (Cina/Vietnam) erano rigettati o non inducevano secrezione, e la maggior parte delle ostriche moriva (Anonimo II, 1994).
In Giappone, la mortalità , già elevata da un decennio, ha raggiunto un picco nel 1996–1997: 150 milioni di ostriche Akoya morte, con tassi medi dal 25 al 60 % a seconda delle località (Canedy, 1998; Anonimo, 1998).
Le cause del fenomeno
La Tabella 1 riepiloga dodici cause principali (in ordine alfabetico) di mortalità aumentata delle ostriche perlifere segnalate in letteratura.
I sintomi
L’indebolimento metabolico delle ostriche infette o moribonde si manifesta con numerosi segni. La presenza di uno o più dei 16 sintomi riportati nella Tabella 2 indica cattivo stato di salute.
Talvolta un’ostrica riesce a riprendersi: una linea netta di demarcazione sulle valve indica un’infezione superata.
Discussione
Le malattie infettive frenano l’acquacoltura degli invertebrati marini. In condizioni normali, le ostriche tollerano un moderato stress, ma rimangono vulnerabili ai patogeni. L’eziologia resta poco conosciuta, ma esami macroscopici e istopatologici forniscono oggi riferimenti utili per diagnosticare le malattie di P. maxima (Humphrey et al., 1999).
Oltre ai fattori biologici, parametri fisico-chimici (calo di salinità , aumento della temperatura, maree fredde/rosse, H₂S, inquinamento domestico/industriale) possono scatenare gravi problemi (Mizumoto, 1979; Anonimo I, 1994).
Le catastrofi naturali (uragani, terremoti, tsunami) hanno un forte impatto sugli stock: sei uragani sui Tuamotu (1992–1993) hanno devastato banchi e allevamenti (Intes, 1995a); in Indonesia (1992), terremoti e tsunami hanno indebolito le ostriche (Anonimo I, 1994). Per migliorare la sopravvivenza post-nucleazione, i nuclei (Giappone/USA) vengono ricoperti di antibiotici, con buoni risultati (Akiyama et al., 1998; Anonimo, 1999).
George (1992) sostiene che la mortalità massiva sia ricorrente in Giappone dal 1960 e nelle aziende delle South Seas che lavorano con specialisti nipponici; gli spostamenti di tecnici e strumenti propagherebbero gli agenti patogeni (vedi anche Aquilina, 1999). Da qui l’importanza di una sterilizzazione sistematica prima e dopo ogni spostamento.
Le mortalità legate al confinamento durante il trasporto possono essere ridotte migliorando la circolazione dell’acqua, diminuendo la densità per contenitore, rafforzando l’igiene ed evitando i trasporti durante i mesi più freddi (Pass et al., 1987).
Il trasporto verso aree prive di colonie naturali può introdurre malattie, parassiti e predatori presenti sulle conchiglie. Occorre evitare introduzioni da zone infette o colpite da cicloni, dove gli animali sono indeboliti.
Braley et al. (1993) osservano che un’ostrica colpita da una malattia “sconosciuta†può sembrare sana e, in 2–3 giorni, diventare una conchiglia aperta con tessuti necrotici; è dunque difficile garantire che uno stock sia sano.
Salvo casi evidenti (tsunami), le cause rimangono spesso non identificate. Come affermava M. Koichi Takahashi (Mikimo America) a proposito del 1996–1997 in Giappone: «tutte le ipotesi sono considerate; è estremamente difficile determinare la causa principale» (Canedy, 1998).
È fondamentale comprendere meglio l’ecosistema delle ostriche perlifere: gestione del numero di ostriche, spaziatura, manutenzione, limitazioni al trasporto, monitoraggio delle condizioni idrologiche. Un forte ricambio d’acqua (lagune aperte, baie/estuari, coste esposte) riduce il rischio di alterazione della qualità dell’acqua (Anderson, 1998).
Suggerimenti
Sulla base dell’esperienza sul campo e della letteratura, sono proposte raccomandazioni (Tabella 3) per migliorare la gestione degli allevamenti.
Ringraziamenti
Ringraziamenti a U Mange Toe (amministratore) e U Khin Nyunt (direttore generale, Myanmar Pearl Enterprise) per il loro incoraggiamento; e a M. Neil A. Sims, M. Martin Coereli e M. Rand Dybdahl per le referenze fornite.
